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Il farmacista e la ricetta medica: un rapporto sempre problematico

Claudio Duchi
Claudio Duchi
Il farmacista e la ricetta medica: un rapporto sempre problematico


Il tema, per quanto ampiamente esplorato, riserva sempre sorprese e comunque è di così fondamentale importanza per la professione del farmacista da richiedere un costante monitoraggio.

Non che, al contrario, l’osservanza della ricetta medica esima necessariamente il farmacista da ogni responsabilità: ha suscitato molto interesse e più ancora preoccupazione qualche tempo fa la sentenza del Tribunale di Novara, Sezione Distaccata di Borgomanero con la quale il titolare della farmacia che aveva spedito le ricette mediche di galenici magistrali riferite a sostanze di cui era pacificamente consentita l’utilizzazione è stato tuttavia condannato, in concorso con il medico prescrittore, per le lesioni che avrebbero subito taluni pazienti in virtù della miscelazione di tali sostanze, non già, ben inteso, nel senso che essa non fosse stata fatta a regola d’arte, ma nel senso che, per dirla in breve, le sostanze non sarebbero state bene insieme quanto ai loro effetti sul paziente.

Si trattava, più precisamente, di galenici magistrali diretti al controllo del peso corporeo in conseguenza della cui assunzione taluni pazienti avrebbero sofferto qualche (leggero) disturbo.

Il Giudice di Borgomanero ha motivato la condanna del farmacista sostenendo che, ancorchè le sostanze utilizzate fossero, considerate individualmente, di uso lecito e la loro miscelazione fosse perfettamente corrispondente alla ricetta medica, il farmacista, quale operatore sanitario qualificato, avrebbe dovuto accorgersi della abnormità del farmaco e perciò della sua attitudine a nuocere al paziente.

Si è trattato di una sentenza davvero preoccupante perché diretta a superare l’esimente dalla responsabilità del farmacista costituita dalla osservanza della prescrizione medica ed a stabilire il principio per il quale spetterebbe al farmacista di controllare non soltanto la legittimità formale della prescrizione medica ma anche, per così dire, la sua attitudine terapeutica.

Ora, sia pure attraverso un discorso indiretto, ciò che in linguaggio giuridico si dice un obiter dictum, la Cassazione rimette le cose a posto sostenendo con la sentenza n. 15734/2010 della III^ Sezione Civile, che la responsabilità del farmacista deve essere esclusa quando lo stesso si attiene alle prescrizioni mediche contenute nella ricetta, che è documento, compilato dal professionista abilitato, contenente tutte le informazioni necessarie per la dispensazione del medicinale.

A maggiore esplicazione la Cassazione precisa che il farmacista non ha il compito di verificare se la posologia del farmaco prescritto sia effettivamente corrispondente alle necessità terapeutiche della cura occorrente, in quanto egli non è abilitato all’esercizio della professione medica, non è tenuto né autorizzato a sindacare il trattamento terapeutico o farmacologico, né a controllare l’eventuale dissonanza tra la cura occorrente e le indicazioni della ricetta, a questa avendo l’obbligo di attenersi scrupolosamente.

Dimostrando di aver approfondito la materia, la Suprema Corte soggiunge che diverso è il caso in cui il farmacista individui nella ricetta la prescrizione di sostanze velenose a dosi non medicamentose o pericolose, poiché, in questo caso, la legge (art. 40 R.D. n. 1706/1998) gli impone di esigere che il medico prescrittore dichiari per iscritto, previa indicazione dello scopo terapeutico perseguito, che la somministrazione avviene sotto la sua responsabilità.

A bene vedere, si tratta di principi che dovrebbero essere pacifici, tanto da togliere significatività al loro ribadimento; sennonché proprio la erosione di tali principi, di cui la sentenza del Giudice di Borgomanero è l’esempio più recente e clamoroso, ed il tentativo di coinvolgere il farmacista nella responsabilità della prescrizione medica inducono ad attribuire importanza alla riaffermazione da parte della Suprema Corte del principio fondamentale per i quali il farmacista deve essere escluso da ogni valutazione della attitudine terapeutica della ricetta che risulti formalmente legittima.

Tuttavia, la sentenza della Cassazione Civile appena richiamata dopo aver affermato per inciso, sia pure nel modo puntuale che si è ricordato, l’obbligo del farmacista di rispettare la prescrizione medica legittima e la conseguente esenzione da ogni responsabilità per gli effetti della somministrazione del farmaco sul paziente, ha affermato in via diretta, il principio per il caso opposto relativo alla consegna di medicinali senza la ricetta quando questa sia prescritta.

Afferma infatti la Cassazione che la consegna di medicinali senza la ricetta, quando questa è prescritta, comportando anche a carico del farmacista la responsabilità disciplinare con le conseguenti sanzioni amministrative, costituisce certamente comportamento attuato in violazione di specifica disciplina normativa e tale da concretare una condotta illecita, sanzionabile civilisticamente, in relazione agli eventi di danno che eventualmente abbia a produrre.

Nel caso specifico il farmacista aveva invocato quali scriminanti la consapevole accettazione da parte del cliente del farmaco non prescritto, la circostanza che egli aveva indicato le modalità di uso e di somministrazione del medicinale ed il suo affidamento riguardo al fatto che del prodotto il cliente avrebbe saputo fare un uso conforme alle istruzioni contenute nella confezione.

Dunque, la Cassazione sembra affermare una sorta di presunzione assoluta della responsabilità civile del farmacista che abbia consegnato al paziente un farmaco senza ricetta nel caso in cui essa sia richiesta dalla legge, per le conseguenze che l’assunzione del medicinale abbia prodotto.

In altri termini: l’assunzione di responsabilità del farmacista in questo caso si spingerebbe fino a rendere irrilevante la negligenza del paziente che pur avrebbe dovuto sapere quali conseguenze l’assunzione del medicinale poteva comportare, quanto alla posologia utilizzata piuttosto che quanto alla diluizione opportuna o necessaria.

Si tratta di una conclusione molto impegnativa, proprio perché viene configurata non già una presunzione semplice, cioè una sorta di inversione dell’onere della prova per la quale pur sempre il farmacista può superare la presunzione della propria responsabilità attraverso la dimostrazione della decisività della negligenza del paziente ma, come si è detto, una presunzione che non potrebbe essere in nessun modo vinta attraverso la indicazione di comportamenti poco responsabili del paziente che hanno determinato il danno.


Claudio Duchi

Nato a Cremona nel 1946, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia nel 1969. È avvocato dal 1975 (albo degli avvocati di Pavia) ed ha esercitato l’attività forense occupandosi principalmente di diritto sanitario e delle farmacie, anche quale redattore di riviste giuridiche specializzate. È autore di alcune monografie e di numerosi contributi, tra cui “Titolarità e gestione della farmacia privata” (Utet Periodici Scientifici, 1990), “Il riordino del settore farmaceutico” (Pirola Editore, 1991, con Francesco Cavallaro) e, da ultimo, “I reati del farmacista” (Editoriale Giornalidea, 2000). Relatore in numerosi convegni e corsi ECM destinati al settore farmaceutico, collabora stabilmente con la rivista Farmamese.
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