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La gestione associata: una novità che lascia molti punti interrogativi

Claudio Duchi
Claudio Duchi
La gestione associata: una novità che lascia molti punti interrogativi


Tra le novità introdotte dalle nuove norme di “liberalizzazione” si segnala per importanza, ma anche per i dubbi che introduce, quella relativa alla possibilità che gli interessati concorrano per la gestione associata di sedi farmaceutiche sommando i titoli posseduti.

Si tratta in una rottura sistematica rispetto alla disciplina vigente che era nel senso che ciascun singolo concorrente valesse per sé stesso.

Una prima osservazione: benché la norma si riferisca genericamente ai concorsi per il conferimento di sedi farmaceutiche, è da ritenersi che riguardi soltanto i concorsi straordinari indetti con procedura d’urgenza per l’assegnazione delle sedi farmaceutiche da aprirsi sulla scorta della nuova proporzione tra farmacie e numero di abitanti, individuata nel quorum di 3.300.

Ciò perché sarebbe altrimenti difficile, ripristinandosi dopo il concorso straordinario quelli ordinari per titoli ed esami, attribuire un punteggio complessivo ai concorrenti associati; in ogni caso, logica vorrebbe che si sommassero anche i punteggi ottenuti nei quiz e non solo quelli per i titoli ed il fatto che la norma nulla dica in proposito sembra indicare che essa si riferisce soltanto ai concorsi straordinari.

Senonché questo è il meno, nel senso che i problemi maggiori sorgono nel caso in cui i concorrenti associati ottengano l’assegnazione di una farmacia; eccone le ragioni: la norma intende favorire l’accesso alla titolarità delle farmacie al maggior numero possibile di farmacisti di giovane età tanto da porre un limite di 40 anni, ma nello stesso tempo vuole evitare che la partecipazione associata ai concorsi si risolva, per così dire, nel traino da parte di chi abbia molti titoli di concorrenti che di per sé ne avrebbero pochi ma che potrebbero poi, per le ragioni più varie, assumere nella farmacia vinta a concorso un ruolo preponderante o comunque liquidare il farmacista trainante.

Per evitare queste manovre speculative si prevede che la farmacia debba essere gestita dagli stessi vincitori su base paritaria per un periodo di dieci anni, fatta salva la premorienza o sopravvenuta incapacità, a pena di perderne la titolarità.

In sede di conversione del decreto legge si è opportunamente sostituita la prescrizione della gestione paritaria a vita con quella che la limita a dieci anni ma, comunque, si tratta di una norma molto impegnativa, perché i casi della vita sono tali e tanti da poter rendere una convivenza professionale per dieci anni non proprio un paradiso.

Va detto innanzitutto che i vincitori associati debbono costituire tra di loro una società in nome collettivo la quale formalmente riceverà la titolarità della farmacia e ciò perché la gestione associata di una impresa deve assumere necessariamente forma societaria e tale forma non può essere che quella della società in nome collettivo, dal momento che la società in accomandita semplice distingue il gestore nella persona del socio accomandatario ed il socio per così dire capitalista in quella del socio accomandante.

La base obbligatoriamente paritaria della gestione renderebbe illegittima ogni previsione statutaria diretta a gradare la posizione dei soci in modo da renderne l’una prevalente rispetto all’altra od alle altre, salva ovviamente quella che riguarda l’attribuzione della responsabilità professionale ad uno dei soci così come la disciplina di settore impone.

Dunque per dieci anni i soci non possono vendere la farmacia, non possono stabilire di rendere la divisione degli utili piuttosto che quella delle responsabilità diversa in relazione alla diversità dell’impegno che essi volessero riservarsi nella gestione dell’esercizio ed in sostanza devono andare d’accordo per forza, a pena di perdere la farmacia.

Sono fatti salvi i casi di premorienza o di sopravvenuta incapacità perché si tratta di quelli che risultano ovviamente indipendenti dalla volontà dei soci e quindi tali da togliere ogni sospetto che si tratti di giustificazioni avanzate strumentalmente.

Poiché questa sembra la ragion d’essere della prescrizione normativa, dovrà intendersi per incapacità l’interdizione e l’inabilitazione secondo quanto prevede il codice civile o uno stato, quale ad esempio la radiazione dall’albo piuttosto che una menomazione che impedisca al di là di ogni dubbio la gestione dell’esercizio, che rivesta un carattere di oggettività indiscutibile.

Si apre, a questo punto, il vero problema: che succede se i soci scoprono di non andare d’accordo ed il loro disaccordo rischia di avere conseguenze sulla stessa qualità del servizio pubblico reso dalla farmacia?

E ancora: che accade se uno dei soci contravviene anche in modo radicale ai compiti ed agli obblighi che gli sono propri, tanto che in termini generali ne sarebbe giustificata la esclusione?

È da chiedersi se valgano nel caso specifico le tipiche cause di esclusione del socio e se pure la risposta positiva sembrerebbe d’acchito imporsi, a ben vedere le cose sono assai meno semplici.

Potrebbe infatti accadere che i soci si accordino per far apparire una causa di esclusione del socio così da realizzare quella rottura del sodalizio che tutti vogliono ma che è in contrasto con la prescrizione normativa che impone il mantenimento della medesima titolarità ed alle medesime condizioni per almeno dieci anni.

La questione è aperta, nel senso che la causa di esclusione del socio dichiarata dal Giudice potrebbe essere ritenuta legittima eccezione al principio della obbligata convivenza professionale per dieci anni, ma è da osservare che il Giudice difficilmente potrebbe negare la configurazione di una causa di esclusione del socio quando i soci concordemente la costruissero, per così dire, proprio perché venga accertata.

Vi è comunque motivo di consigliare di concorrere in forma associata per l’assegnazione di una farmacia solo quando il legame personale tra gli interessati sia davvero solido.


Claudio Duchi

Nato a Cremona nel 1946, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia nel 1969. È avvocato dal 1975 (albo degli avvocati di Pavia) ed ha esercitato l’attività forense occupandosi principalmente di diritto sanitario e delle farmacie, anche quale redattore di riviste giuridiche specializzate. È autore di alcune monografie e di numerosi contributi, tra cui “Titolarità e gestione della farmacia privata” (Utet Periodici Scientifici, 1990), “Il riordino del settore farmaceutico” (Pirola Editore, 1991, con Francesco Cavallaro) e, da ultimo, “I reati del farmacista” (Editoriale Giornalidea, 2000). Relatore in numerosi convegni e corsi ECM destinati al settore farmaceutico, collabora stabilmente con la rivista Farmamese.
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