Accanto a proficue assegnazioni anche agli interpelli successivi al primo, accade pure che alcune amministrazioni indugino fino al punto di fare orecchie da mercante nei casi, neppure così rari, in cui manchino del tutto i locali idonei ad aprire la farmacia vinta a concorso.
In una situazione di questo genere e, in assenza del beneficio della proroga regionale all’apertura oltre il termine semestrale, al concorrente vincitore e assegnatario della sede in un comune emiliano è stata ingiunta, come una scure implacabile, la decadenza per mancata apertura della nuova farmacia nei tempi stabiliti.
Per effetto di tale decadenza, l’interessato si è trovato, in base al bando, nell’impossibilità di partecipare all’assegnazione di qualsiasi sede farmaceutica individuata nel bando stesso e di conseguenza non ha potuto fare altro che rivolgersi alla magistratura e chiedere che venisse accertata la responsabilità del comune per la lesione del suo diritto all’apertura dell’esercizio farmaceutico assegnatogli.
La difesa del comune ha sollevato una questione di natura processuale che ha portato le parti direttamente davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione poiché ha sostenuto, infondatamente, che la controversia andasse trattata davanti al Tribunale amministrativo e non a quello ordinario bolognese.
Le Sezioni Unite, nonostante la natura squisitamente processuale della materia del contendere, con l’ordinanza in commento n. 12640/2019 hanno affrontato la questione attribuendo la giurisdizione al Giudice ordinario e, nell’argomentare, hanno introdotto delle tematiche di ampio respiro meritevoli di essere evidenziate.
In particolare, hanno riconosciuto che l’inerzia dell’amministrazione può essere un fattore causale del danno subito dal farmacista assegnatario per il mancato reperimento di locali idonei all’apertura della farmacia a seguito del superamento positivo della procedura concorsuale.
Da qui hanno tratto che il comportamento materiale della pubblica amministrazione – e nella fattispecie di quella comunale – è illegittimo e determina la violazione della norma generale del “neminem ledere” di cui all’art. 2043 c.c., detto altrimenti, del “non danneggiare alcuno”.
Nel caso in esame, infatti, è accaduto che il comportamento tenuto dal Comune abbia violato, secondo il Supremo Collegio, il principio di tutela dell’affidamento riposto dal vincitore all’apertura della nuova farmacia, principio che ha assunto recentemente un ruolo centrale sia in ambito europeo per la Corte di Giustizia e per la Corte dei Diritti dell’uomo che in ambito nazionale trovando origine nei principi costituzionali.
È proprio con riferimento a questi ultimi ed in particolare con riguardo all’art.97 Cost. che si è correttamente statuito che la “pubblica amministrazione è tenuta ad improntare la sua azione non solo ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento, ma anche al principio generale di comportamento secondo buona fede, cui corrisponde l’onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento”.
In altre parole, sulla base di un affidamento legittimo e “qualificato” dall’avvenuto superamento positivo di un pubblico concorso, il farmacista, impossibilitato ad aprire la propria farmacia, può far valere il proprio diritto al risarcimento del danno derivante da un comportamento del Comune che gli causi un danno ingiusto.
Per l’autorità dell’organo giudicante da cui proviene e per il tessuto motivazionale, l’ordinanza rappresenta un riferimento apprezzabile per tutelare tutti coloro che, facendo affidamento sul positivo superamento del concorso, si trovino nella situazione beffarda di essere rimasti solo con un pugno di mosche in mano in luogo dell’agognata farmacia.