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Sono illegittimi gli accordi limitativi della facoltà di apertura della farmacia oltre gli orari di servizio ed i turni di riposo

Claudio Duchi
Claudio Duchi
Sono illegittimi gli accordi limitativi della facoltà di apertura della farmacia oltre gli orari di servizio ed i turni di riposo


Ha suscitato molto interesse la sentenza 3080/2013 della Corte di Cassazione – Sezione III^ Civile che ha annullato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale comminata dall’Ordine dei farmacisti di Caserta a un titolare di farmacia che aveva tenuto aperto oltre l’orario di servizio e durante i turni di riposo del sabato, pubblicizzando tra l’altro detta apertura, in violazione di un accordo con gli altri titolari di farmacia che obbligava invece gli stipulanti al rispetto dei turni di chiusura e a non superare gli orari di servizio previsti dalla legge.

Il caso esaminato dalla Cassazione si inquadra in una normativa regionale della Campania (la legge n. 1/2007) che già prevedeva il principio poi affermato dalla legislazione nazionale con l’art. 11, comma 8, del DL n. 1/2012 per il quale le farmacie non di turno hanno la facoltà di restare aperte o, detto altrimenti, i turni e gli orari di farmacia stabiliti dalle Autorità competenti non impediscono l’apertura della farmacia in orari diversi da quelli obbligatori.

La violazione deontologica era stata individuata dall’Ordine dei farmacisti di Caserta e confermata dalla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie nel fatto che l’incolpato fosse venuto meno ai doveri di correttezza violando gli accordi di categoria liberamente presi e che aveva personalmente sottoscritto.

Tali accordi hanno integrato, secondo la Cassazione, un così detto contratto atipico quale previsto dall’art. 1322 cod. civ. che dispone che le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare e che perciò risultano, appunto, atipici, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Qui sta il punto: la Suprema Corte ritiene che accordi di questa natura non siano meritevoli di tutela perché contrari ai principi, di valenza comunitaria e costituzionale, di libera concorrenza, mirando alla tutela di interessi economici di categoria che contrastano con le esigenze di effettiva realizzazione di un assetto concorrenziale del mercato.

Dunque, conclude la Cassazione, ancorché si tratti di un accordo liberamente preso, non è deontologicamente scorretto ignorarlo, in quanto il suo contenuto è contrario a principi fondamentali dell’ordinamento giuridico.

Benché abbia suscitato reazione assai critiche di autorevoli commentatori, la sentenza, almeno nella sua parte dispositiva, non sembra censurabile, poiché non pare dubbio che accordi di questa natura abbiano una valenza anticoncorrenziale: è pur vero che le farmacie non sono esercizi commerciali qualsiasi e la loro attività riveste una funzione di pubblico interesse, ma una volta che l’ordinamento consenta l’apertura oltre l’orario di servizio, da considerarsi orario minimo, e nei turni di riposo, è evidente che un accordo che la limiti ha una funzione anticoncorrenziale mentre l’ordinamento giuridico nazionale, anche per influsso comunitario, ha una posizione proconcorrenziale.

Alla stessa stregua sarebbe illegittimo e la sua trasgressione non potrebbe costituire illecito deontologico l’accordo che prevedesse un “cartello” diretto ad evitare o disciplinare gli sconti nelle farmacie e così via.

Probabilmente, se la sentenza della Cassazione si fosse limitata all’enunciazione di questi principi non avrebbe suscitato particolare interesse, sennonché la Suprema Corte è andata oltre con considerazioni di carattere sociologico piuttosto discutibili.

Infatti, ha inteso dare un giudizio non solo di legittimità come le spettava, ma anche di merito negando che gli accordi tra farmacisti diretti a disciplinare l’apertura degli esercizi per la parte per così dire discrezionale abbiano una apprezzabile ragion d’essere nella tutela delle piccole farmacie, tutela che anzi dovrebbe essere superata da “un’ordinaria dinamica di mercato” attraverso una “concentrazione in esercizi di grandi dimensioni e a discapito degli esercizi di dimensioni minori”, osservazione che mostra una insufficiente padronanza dei termini della questione.

Le farmacie infatti, non possono riaggregarsi perché il loro numero è stabilito per legge in proporzione alla popolazione residente, come è noto, e pertanto si pone effettivamente il problema della tutela degli esercizi che sono destinati a rimanere di modeste dimensioni perché servono agglomerati isolati o scarsamente abitati.

Ancora una volta, dunque, sacrificare al moloch della concorrenza può portare a qualche svarione.


Claudio Duchi

Nato a Cremona nel 1946, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia nel 1969. È avvocato dal 1975 (albo degli avvocati di Pavia) ed ha esercitato l’attività forense occupandosi principalmente di diritto sanitario e delle farmacie, anche quale redattore di riviste giuridiche specializzate. È autore di alcune monografie e di numerosi contributi, tra cui “Titolarità e gestione della farmacia privata” (Utet Periodici Scientifici, 1990), “Il riordino del settore farmaceutico” (Pirola Editore, 1991, con Francesco Cavallaro) e, da ultimo, “I reati del farmacista” (Editoriale Giornalidea, 2000). Relatore in numerosi convegni e corsi ECM destinati al settore farmaceutico, collabora stabilmente con la rivista Farmamese.
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