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Consiglio di Stato: incompatibilità tra medici e farmacisti

Silvia Stefania Cosmo
Silvia Stefania Cosmo
Consiglio di Stato: incompatibilità tra medici e farmacisti


È principio noto quello per cui l’esercizio della farmacia è incompatibile con la professione medica; la ragione è motivata storicamente dal conflitto di interessi che si determina nel contemporaneo esercizio dell’attività di prescrizione e di dispensazione dei medicinali per salvaguardare l’interesse pubblico al corretto svolgimento del servizio farmaceutico e alla tutela della salute pubblica.

Dell’applicazione del principio si è occupato qualche tempo fa il Tar Marche con la decisione 106/2021 che ha ritenuto che la partecipazione societaria di una casa di cura alla società di gestione della farmacia fosse incompatibile “con l’esercizio della professione medica” esercitata dalla stessa casa di cura per violazione dell’art. 7 L. 362/1991.

Per il giudice marchigiano la partecipazione totalitaria della casa di cura alla società di gestione della farmacia unitamente al fatto che il soggetto fosse accreditato presso il SSN, che disponesse dell’unità funzionale di Medicina e Chirurgia nelle quali svolgono la loro attività dei medici prescrittori e che offrisse servizi diagnostici e ambulatoriali, rappresentano indici di sussistenza dell’incompatibilità.

Ora è la terza sezione del Consiglio di Stato che, con una sentenza non definitiva di fine dicembre 2021, ripreso il tema dell’incompatibilità in ragione dell’appello proposto dalla casa di cura, ha posto all’esame dell’Adunanza Plenaria cioè del massimo organo della giustizia amministrativa, l’interpretazione della predetta norma in considerazione dei dubbi sorti in punto.

Il nocciolo della questione verte sostanzialmente su due temi controversi: da un lato l’esame degli elementi concernenti le modalità di “gestione della farmacia” e, oserei dire, “l’ingerirsi” della casa di cura nella gestione della farmacia e, dall’altro, l’analisi del significato normativo de “l’esercizio della professione medica”.

Gestione della farmacia

Con riguardo al primo punto, il Consiglio di Stato ha preso le distanze dalla tesi del Tar che ravvisa la sussistenza di un potere decisorio totale sulla conduzione e sugli indirizzi della farmacia da parte della casa di cura e da quella antitetica che consentirebbe ai soggetti incompatibili di costituire agevolmente una società al solo scopo di farla diventare socia di una società titolare di farmacia.

Se, infatti risulta di facile evidenza il conflitto nel caso in cui sia una persona fisica a svolgere la funzione di farmacista e medico, non di altrettanta evidenza è l’ipotesi, come quella in questione, in cui la titolarità della farmacia faccia capo ad una società e quest’ultima sia a sua volta detenuta da un’altra società.

Per il Consiglio di Stato è il “fattivo coinvolgimento” nella gestione del presidio farmaceutico da parte del socio (casa di cura) a costituire criterio orientativo per la sussistenza o meno dell’incompatibilità in questione e tre sono le possibili soluzioni nel valutare in quali casi ed a quali condizioni il socio (casa di cura) di società di farmacia possa dirsi coinvolto nella gestione della farmacia:

  1. accertare di volta in volta se vi sia in concreto un’attività di effettivo condizionamento dell’operato della società titolare di farmacia;
  2. affidarsi alla presunzione della esistenza di direzione e di coordinamento della società che controlla quella titolare di farmacia;

  3. affidarsi alla presunta autonomia dell’organo amministrativo della società controllata per impedire improprie interferenze del socio in posizione di controllo.

Letture come la n. 1 hanno il limite della mancanza di regole “certe” in un settore delicato come quello della salute; mentre interpretazioni come la n. 2 potrebbero produrre un effetto di “indeterminatezza”, si legge nella decisione, “poco aderente al dettato della legge e alla logica tassativa e tipizzante delle clausole restrittive della libertà negoziale”.

In altri termini, un’interpretazione della norma basata su “indizi” entrerebbe in tensione con la logica pro-concorrenziale che spinge alla libertà contrattuale, pur suscettibile di bilanciamento con l’interesse alla salute.

Quanto alla terza opzione centrata sulla presunta autonomia gestionale della società titolare di farmacia e dei suoi organi amministrativi, essa ha il limite che basterebbe eludere il sospetto con la costituzione formale di due soggetti distinti.

Di qui il dubbio posto alla Plenaria sull’analisi del criterio della “modalità di gestione” della società controllata e sulla scelta interpretativa della norma sull’incompatibilità in questione.

Professione medica

Per quanto attiene al secondo aspetto relativo a cosa debba intendersi per “esercizio della professione medica” da parte della casa di cura che partecipa la società titolare di farmacia, il Consiglio di Stato propone una lettura alternativa a quella del Tar.

Al giudice di primo grado che trova “innegabile” che la società che gestisce la casa di cura svolga attività medica erogando servizi di diagnosi e cura attraverso l’impiego di medici anche prescrittori, il supremo Consesso frappone infatti i seguenti rilievi:

  • la casa di cura non è una società di medici,

  • I medici presenti nella compagine societaria vi figurano con ruoli del tutto avulsi dalla loro attività medica;

  • La casa di cura in quanto tale non ha alcun potere di prescrizione di cure e medicinali, anche se vi sono numerosi medici prescrittori.

L’antitetica lettura evidenzia la difficoltà del tema che impone di tener presente la doppia vocazione della farmacia identificabile nell’espletamento di un servizio pubblico di accesso al farmaco garantito a tutti i cittadini e nell‘anima “economico-imprenditoriale”.

Viene, dunque, da pensare che tutela della salute e libera concorrenza si trovino in equilibrio solo quando si mettano a vantaggio di una maggiore efficienza del servizio e qui sta proprio il compito dell’Adunanza plenaria: trovare il bilanciamento fra contrapposte esigenze appartenenti ad un unicum quale è appunto la farmacia.


Silvia Stefania Cosmo

Nata a Milano nel 1973, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È avvocato dal 2001 (albo degli avvocati di Milano). Dal 1998 partecipa all’insegnamento di Istituzioni di Diritto Pubblico e di diritto amministrativo presso l’Università Cattolica di Milano in qualità di cultore della materia e come guida di seminari. Dal 2000 collabora stabilmente con lo Studio Cavallaro, Duchi, Lombardo, Cosmo del quale è divenuta socia nel 2014. Nel 2020, con l’avv. Paolo Franco e l’avv. Quintino Lombardo, ha fondato HWP Health Wealth Pharma – Franco Lombardo Cosmo - Studio Legale in Milano e Roma. Il diritto amministrativo ed in particolare il diritto farmaceutico con le branche connesse sono il fulcro dell’attività professionale. È autrice di diverse pubblicazioni e di articoli in riviste di settore in ambito sanitario e farmaceutico oltre che relatore in numerosi convegni e attività di formazione. Collabora con la rivista Farma Mese
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