È passata insolitamente sotto silenzio la legge della Regione Emilia-Romagna n. 2 del 3 marzo 2016 titolata “norme regionali in materia di organizzazione degli esercizi farmaceutici e di prenotazioni di prestazioni specialistiche ambulatoriali”. Essa ripropone, innanzitutto, il problema di fondo se davvero serva questa bulimia normativa o non sia piuttosto sintomo del desiderio di avere sempre l’ultima parola, una sorta di complesso di prima della classe che porta la Regione Emilia-Romagna, dopo la sventurata scelta della “contitolarità” delle farmacie assegnate con il concorso straordinario, ad emanare una nuova articolata legge che lascia molto perplessi.
Innanzitutto vi si trovano molte norme che ripetono il contenuto di quelle nazionali, con un ribadimento prolisso che sembra appunto diretto a dar loro maggior vigore per l’appropriazione che ne fa la Regione.
Dove, invece, vengono introdotte novità, si manifesta chiaramente il contrasto con la normativa nazionale.
Il caso più clamoroso è quello relativo al procedimento di revisione della pianta organica delle farmacie che, a fronte della previsione della legge statale per cui il Comune deve deliberare dopo aver “sentito” Ordine dei Farmacisti ed Asl, assegna a quest’ultima una sorta di diritto di veto imponendo, in caso di disaccordo con il suo orientamento, una conferenza dei servizi regionale che si dovrà “concludere” con l’adozione della pianta organica definitiva, formula che non consente di capire cosa accada quando il disaccordo permanga.
Va notato, tra l’altro, che secondo il Consiglio di Stato (sent. n. 4535/2015) il termine “sentito” è quello più generico ed attenuato e si può riferire ad una consultazione meramente partecipativa.
Ancora: dopo che la legge n. 362/1991 aveva risolto il contrasto giurisprudenziale prevedendo che l’istituzione del dispensario farmaceutico non possa prescindere dalla previa istituzione della corrispondente sede farmaceutica, ecco che ora interviene la Regione prima della classe a sostenere il contrario quando si manifesti “una oggettiva difficoltà degli abitanti a raggiungere la sede farmaceutica più vicina”, ove è ovvio che non vi sarà nulla di più “soggettivo” che stabilire la configurazione di una difficoltà “oggettiva”.
L’articolazione della normativa regionale in oggetto richiederà nel corso del tempo più di un approfondimento, ma ora è sufficiente segnalarne la scomoda esistenza che ripropone ancora una volta il problema se davvero sia il caso di accumulare norme su norme che danno luogo ad una superfetazione contraddittoria rispetto all’insistito e più che mai disatteso richiamo alla “semplificazione”.