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Parafarmacie e medicinali di fascia C

Francesco Cavallaro
Francesco Cavallaro
Parafarmacie e medicinali di fascia C


Due giorni prima dell’entrata in vigore della legge 24.3.2012 n. 27, che ha convertito il decreto legge 24.1.2012 n. 1 – cioè il cosiddetto decreto Monti che all’articolo 11 ha rivoluzionato buona parte della normativa sulla distribuzione dei medicinali – il TAR per la Lombardia, con ordinanza n. 895/2012, ha posto alla Corte di Giustizia delle Comunità europee un quesito di grande rilievo sulla possibile estensione alle parafarmacie della distribuzione dei medicinali di fascia C.

Di tale ordinanza si è parlato poco, forse perché le difficoltà applicative ed interpretative dell’art. 11 della legge 27/2012 hanno monopolizzato, come i lettori sanno, tanto l’attenzione dei titolari di farmacia e delle loro organizzazioni quanto quella delle Amministrazioni comunali e delle Asl, tutti impegnati in una gara contro il tempo per stabilire quante nuove farmacie debbano venir istituite (e soprattutto dove, ma questo è un altro discorso) per essere assegnate attraverso il concorso straordinario per titoli, attraverso un iter procedimentale per molti aspetti discutibile e sotto alcuni profili di incerta costituzionalità.

Si tratta tuttavia di una ordinanza che, se verrà avallata dalla Corte di Giustizia, potrebbe avere effetti molto rilevanti in quanto potrebbe venir riconosciuto ai farmacisti che operano nelle parafarmacie il diritto di dispensare qualsiasi medicinale, con o senza ricetta, purché a carico del cliente, e quindi in sostanza promuovere le parafarmacie a farmacie vere e proprie, sia pure non convenzionate con il SSN.

Il ragionamento del TAR prende spunto dal ricorso di una farmacista di Varese che ha impugnato il provvedimento col quale la Asl ha denegato l’avvio della dispensazione di medicinali soggetti a ricetta medica presso la sua parafarmacia, nonché un analogo provvedimento ministeriale.

L’ordinanza procede anzitutto ad una ricostruzione del quadro normativo osservando che il servizio di distribuzione dei farmaci è un settore economico sottoposto ad una penetrante regolamentazione che investe il numero ed il regime proprietario delle farmacie, gli orari ed i turni di apertura ed il sistema di remunerazione, riservando alla categoria dei farmacisti la possibilità di intraprendere tale attività, ma limitando il numero di coloro che possono svolgerla.

Partendo dalla riforma “Giolitti” del 1913 l’ordinanza ricorda che per garantire la distribuzione capillare delle farmacie sul territorio è stato messo a punto uno strumento denominato pianta organica che le leggi successive hanno sostanzialmente perpetuato, e ne descrive le linee generali (base comunale, rapporto demografico, deroghe in particolari situazioni).

Secondo l’ordinanza particolare rilievo presentano il decreto – legge 223/2006 (“Bersani“) che per aumentare la concorrenza nel settore ha autorizzato l’apertura di esercizi commerciali diversi, denominati parafarmacie, ai quali è stata inizialmente consentita solo la vendita di farmaci da banco, il decreto – legge 201/2011, che ha consentito la vendita anche di altri medicinali dispensabili senza ricetta, nonché il decreto – legge n. 1/2012, che ha autorizzato tanto le farmacie quanto le parafarmacie a praticare sconti sui prezzi di tutti i tipi di farmaci.

Il TAR si è poi posto il problema se il diritto di esclusiva in favore delle sole farmacie circa la vendita di tutti i medicinali soggetti a prescrizione medica, ma non a carico del SSN, sia rispettoso dei vincoli derivanti all’Italia dall’appartenenza all’Unione Europea.

Tale diritto di esclusiva è stato finora ritenuto conforme ai principi costituzionali in quanto, pur costituendo un’indubbia limitazione della libertà di iniziativa economica, la Corte Costituzionale è stata del parere che su di esso dovesse prevalere l’interesse alla continuità territoriale e temporale del servizio (sentenze 4/1996, 27/2003 e 76/2008).

Sennonché tale situazione deve essere verificata alla luce del Trattato europeo, che attribuisce alla libertà di iniziativa economica e di concorrenza un peso assai maggiore di quello che traspare dalla Costituzione italiana; infatti l’ordinamento comunitario è orientato a superare gli strumenti di pianificazione dei processi economici preferendo promuovere una loro regolazione obiettiva e neutrale, sul presupposto della spontaneità dei processi economici.

Pur riconoscendo che il principio dell’economia di mercato aperta ed in libera concorrenza non ha valore assoluto, ritiene il TAR che il governo dell’economia debba essere coerente con il principio di proporzionalità, imponendo di scegliere tra i mezzi astrattamente possibili quello meno invasivo della libertà di impresa, richiamando i criteri ispiratori della liberalizzazione e regolazione dei servizi di pubblica utilità.

Entrando nel merito della questione il Tribunale ricorda le molteplici disposizioni del Trattato (artt. 101, 119, 120; il protocollo n. 27, nonché l’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali) che pongono la tutela della concorrenza come principio generale del diritto dell’Unione Europea, facendo salva tuttavia la libertà degli Stati di provvedere alla organizzazione di servizi economici di interesse generale nel modo che essi considerano conveniente.

D’altro canto, benché spetti agli Stati stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica ed il modo in cui tale livello deve essere raggiunto, le attività che possono essere svolte da un farmacista costituiscono attività economiche prestate dietro retribuzione, come tali sottoposte alle disposizioni del Trattato, e perciò le norme nazionali che assoggettino l’attività del farmacista ad un regime che ne limiti il pieno e libero esplicarsi in quanto fissano un divieto di vendita di determinate categorie di farmaci ed un contingentamento delle farmacie sul territorio vanno poste a confronto con i principi di libera circolazione sanciti dal Trattato per verificarne la compatibilità.

In particolare la possibilità di vendere i farmaci di fascia C soggetti a prescrizione accordata solo ai titolari di farmacia in pianta organica ha l’effetto di ostacolare e scoraggiare l’esercizio da parte dei farmacisti degli altri Stati membri delle loro attività nel territorio nazionale ed equivale perciò ad una restrizione alla libertà di stabilimento che può essere giustificata solo da motivi imperativi di interesse generale ed a condizione che non vada oltre a quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo.

L’ordinanza ricorda le precedenti sentenze della Corte di Giustizia, secondo le quali

  • la scelta di uno Stato membro di riservare ai soli farmacisti la vendita al dettaglio dei medicinali è compatibile col diritto dell’Unione in considerazione della esigenza di garantire alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualità (sent. 19.5.2009);
  • le norme nazionali che regolamentano il numero delle farmacie attraverso una pianta organica sono compatibili con le libertà economiche previste dal Trattato purché i loro effetti non incidano in maniera sproporzionata rispetto agli interessi generali perseguiti, ed i vincoli alla apertura di non più di determinate farmacie per un certo numero di abitanti possono essere giustificati dalla esigenza di favorire l’apertura di farmacie in zone rurali, geograficamente isolate o altrimenti svantaggiate (sent. 1.6.2010).

In definitiva le giustificazioni delle restrizioni ammesse dalla Corte di Giustizia in materia sono la tutela della salute pubblica, gli effetti socialmente indesiderabili derivanti dall’eccesso di concorrenza e la salvaguardia dell’equilibrio finanziario dei sistemi nazionali di sicurezza sociale.

Alla luce di tali esigenze di interesse generale il TAR ritiene che una normativa che riserva ai soli titolari di farmacia anche la distribuzione dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione medica non sia proporzionata ed idonea a raggiungere l’obiettivo di garantire un approvvigionamento di medicinali sicuro e di qualità, in quanto non sembra giustificata né da ragioni di tutela della salute pubblica né di ordine economico, né di altra natura.

Infatti le norme relative alla presentazione di ricette mediche ripetibili o non ripetibili possono essere rispettate da qualsiasi farmacista anche nell’ambito di una struttura diversa da una farmacia in pianta organica, potendo garantire la tracciabilità del farmaco, avvalersi degli stessi canali di rifornimento ed utilizzare gli stessi sistemi informatici anche per quanto riguarda ritiri o sequestri, ed è comunque soggetta a vigilanza igienico – sanitaria.

Della spesa pubblica non è il caso di parlare trattandosi di medicinali a totale carico dell’acquirente.

Per quanto riguarda infine gli effetti sfavorevoli di un eventuale eccesso di concorrenza ritiene il TAR che non sussista il rischio che alcune imprese concentrino la propria offerta sui segmenti più redditizi dell’attività.

In conclusione la normativa italiana sembra al TAR in contrasto con l’art. 49 del Trattato in quanto scoraggia lo stabilimento in Italia europeo di un farmacista che voglia accedere al mercato dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione, senza che ciò possa essere giustificato in alcun modo, ed a suo avviso il contingentamento del numero delle farmacie abilitate alla vendita dei farmaci di fascia C si traduce nella sproporzionata protezione del reddito degli esercizi esistenti piuttosto che nel conseguimento di una razionale e soddisfacente distribuzione territoriale degli esercizi di vendita al pubblico dei farmaci.

Sulla base di tali considerazioni il TAR ha sollevato la seguente questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia:

“se i principi di libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza di cui agli articoli 49 del Trattato ostano ad una normativa nazionale che non consente al farmacista, abilitato ed iscritto al relativo Ordine professionale ma non titolare di esercizio commerciale ricompreso nella pianta organica, di poter distribuire al dettaglio, nella parafarmacia di cui è titolare, anche quei farmaci soggetti a prescrizione medica su “ricetta bianca”, cioè non posti a carico del SSN ed a totale carico del cittadino, stabilendo anche in questo settore un divieto di vendita di determinate categorie di prodotti farmaceutici ed un contingentamento numerico degli esercizi commerciali insediabili sul territorio nazionale”.

Quali potrebbero essere le conseguenze dell’accoglimento da parte della Corte di Giustizia del punto di vista del TAR Lombardia non è agevole prevedere; è chiaro tuttavia che si è sulla strada di una progressiva liberalizzazione tanto sul piano nazionale quanto su quello europeo, e che se difficilmente le farmacie convenzionate potranno perdere la loro attuale natura di articolazione periferica del sistema sanitario pubblico, le attuali parafarmacie si avviano a divenire delle vere e proprie farmacie libere di aprire i battenti dove credono, sia pure probabilmente nel rispetto di una distanza minima, così come del resto già accade per le strutture sanitarie anche di ricovero, la maggior parte delle quali è convenzionata con il SSN, senza che questo contrasti con la libertà di attivare strutture non convenzionate.


Francesco Cavallaro

Nato a Roma nel 1943, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel 1965. È avvocato dal 1969 (albo degli avvocati di Milano) e svolge l’attività professionale occupandosi principalmente degli aspetti giuridici della produzione e della distribuzione dei medicinali. Dal 1970 al 1980 ha curato la redazione di una rivista giuridica specializzata nel settore. Insieme con l’avv. Claudio Duchi ha pubblicato due raccolte di leggi in materia farmaceutica e, sempre con l’avv. Claudio Duchi, il commentario “Il riordino del settore farmaceutico”(Pirola, 1991). Ha partecipato a iniziative di formazione per laureati presso le Università di Milano e di Palermo.
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