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Strumenti contrattuali – la farmacia in gestione associata

Quintino Lombardo
Quintino Lombardo
Strumenti contrattuali – la farmacia in gestione associata


Il coinvolgimento di più soggetti nella gestione e nell’esercizio della farmacia è fenomeno da tempo consolidato nella realtà italiana.

Le ragioni sono molteplici: da quella strettamente economica (la dimensione dell’impresa richiede l’intervento di più soggetti, se del caso riservando ad alcuni di essi un ruolo non operativo ma solo finanziario), a quella familiare (si tratta di coinvolgere nell’azienda diversi membri della famiglia, magari non laureati in farmacia), in un’ottica che può essere di crescita imprenditoriale (nuovi progetti richiedono nuove energie e nuovi mezzi economici) oppure di semplice preparazione di un passaggio generazionale (il titolare coinvolge altri soggetti in vista di un progressivo distacco dall’attività).

Di sicuro c’è che l’argomento si mantiene di grande interesse, a maggior ragione a fronte delle riforme apportate dall’art. 5 del D. L. n. 223/2006 (cd.“Decreto Bersani”), convertito in legge dalla L. n. 248/2006, all’art. 7 della legge n. 362/1991: pur nel ribadito rigore dei requisiti professionali di partecipazione e delle cause di incompatibilità, la modifica della disciplina della società tra farmacisti sembra infatti aver dato nuovo impulso all’utilizzo dello strumento societario. Nell’uso comune, tuttavia, alla società tra farmacisti continuano ad affiancarsi strumenti contrattuali diversi, come l’impresa familiare e l’associazione in partecipazione, che non costituiscono (e non consentono) l’esercizio in comune dell’impresa-farmacia, ma che sono ugualmente utili per il coinvolgimento nella vita aziendale di più soggetti, anche non laureati in farmacia, a condizione ovviamente che si tengano sempre presenti le peculiarità normative di ciascun istituto, che qui di seguito riproponiamo in estrema sintesi.

L’impresa familiare

Il mondo della farmacia è sempre stato caratterizzato dalla collaborazione dei familiari nel lavoro del titolare (quantomeno per i gravosi aspetti di tipo amministrativo e commerciale connessi alla conduzione dell’azienda) e per questa ragione l’istituto dell’impresa familiare, disciplinato dall’art. 230 bis del codice civile, ha tradizionalmente trovato ampia utilizzazione, potendo essere utilizzata anche con familiari non farmacisti, con i quali ancora oggi non è permesso costituire una società. Ed infatti il titolare di farmacia che si avvale dell’opera (professionale o no) dei propri familiari evidentemente non costituisce una società con questi ultimi, mantenendo invariato il proprio regime di imprenditore individuale.

I diritti dei collaboratori nell’impresa familiare sono tuttavia notevoli e vanno sempre tenuti presenti nel decidere l’utilizzo di tale strumento.

Sotto il profilo economico, il collaboratore ha innanzitutto diritto al “mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia” ed alla partecipazione agli utili della farmacia ed ai beni aziendali acquistati con essi “in proporzione alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato”, elemento quest’ultimo che di solito è indicato fin dall’atto dichiarativo dell’impresa familiare.
Nel momento della cessazione del rapporto di impresa familiare, inoltre, alla quota di utili non ancora percepita si aggiunge in favore del collaboratore anche la “liquidazione” del diritto di partecipazione all’impresa, come previsto dal comma 4 dell’art. 230 bis. Il collaboratore ha quindi diritto ad una quota sugli “incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento” realizzati in tutto il periodo di durata dell’impresa familiare, perché la norma presuppone che gli incrementi dell’azienda siano stati realizzati con il diretto contributo del collaboratore e quindi al momento dell’uscita di quest’ultimo dall’attività familiare gli riconosce un adeguato indennizzo, che non raramente raggiunge livelli di significativa rilevanza economica specie se il rapporto d’impresa familiare si è protratto negli anni.

Sotto il profilo gestionale, il collaboratore nell’impresa familiare si vede riconosciute significative posizioni di ingerenza nella vita aziendale che, pur avendo rilevanza puramente interna ed obbligatoria, si configurano di portata ben più ampia rispetto a quelle che avrebbe un semplice dipendente, a tutela del diritto del collaboratore a partecipare concretamente nelle più importanti decisioni riguardanti la vita aziendale. Infatti, “le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi, nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa, sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa”.

Infine, con l’obiettivo di favorire la conservazione del posto di lavoro, la posizione del partecipante all’impresa familiare è rinforzata dal diritto di prelazione previsto dal comma 5 dell’art. 230 bis, per il caso sia di divisione ereditaria, sia di trasferimento dell’azienda, con la tutela delle procedure e del riscatto previsto dall’art. 732 del codice civile. Ciò significa che, quando il titolare decida di vendere la farmacia e quindi di far cessare l’impresa, i familiari collaboratori hanno il diritto di vedersi offerto l’acquisto della farmacia e di essere preferiti, a parità di condizioni contrattuali, rispetto a soggetti terzi estranei all’impresa. Allo stesso modo, qualora il titolare della farmacia venga a mancare, lasciando eredi uno o più soggetti partecipanti nell’impresa familiare insieme con altri soggetti estranei, i primi hanno il diritto di essere preferiti in sede di divisione e quindi di vedersi assegnata l’azienda farmaceutica.

In ogni caso il partecipante all’impresa familiare ha il diritto di essere informato della eventuale proposta di vendita o di acquisto dell’azienda o della quota ereditaria da parte del terzo, in modo da essere messo in grado di esercitare la prelazione, secondo quanto prevede il codice civile. In mancanza di tale notifica, potrà essere per l’appunto esercitato il cd. diritto di riscatto o retratto, che comporta la diretta surrogazione del partecipante nell’impresa familiare nella posizione contrattuale di chi ha acquistato senza rispettare, anche involontariamente, il diritto di prelazione.

L’associazione in partecipazione

Anche l’associazione in partecipazione resta un istituto contrattuale ancora molto utilizzato in farmacia, perché consente il coinvolgimento di soggetti diversi nella conduzione aziendale, al di là del rapporto di parentela o affinità, mediante apporti e/o collaborazioni di natura diversa dalla prestazione lavorativa. In particolare, secondo la definizione del codice civile (art. 2549) “l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”.

Il titolare della farmacia, quale “associante”, riceve un determinato apporto economicamente rilevante da un soggetto terzo, che viene riconosciuto come “associato” all’impresa; in cambio, il titolare si impegna a riconoscere a quest’ultimo una quota degli utili conseguiti dalla farmacia, potendogli addossare una quota delle eventuali perdite solo nel limite dell’apporto ricevuto.

Si coglie subito, come si vede, la fondamentale caratteristica dello scambio di prestazioni patrimoniali e per questo motivo, innanzitutto, il contratto di “associazione in partecipazione” appare completamente diverso da quello di società, sebbene la locuzione risulti evocativa di un rapporto similare:

  • il soggetto imprenditoriale associante non è un soggetto collettivo; non è costituito alcun fondo comune (capitale sociale);
  • la titolarità dell’impresa e della farmacia resta in capo al solo farmacista associante e quest’ultimo svolge ogni attività al riguardo sotto l’impulso della sua volontà e con propria esclusiva responsabilità verso i soggetti terzi.

Tali differenze normative, d’altra parte, sono quelle che in origine hanno giustificato la compatibilità dell’associazione in partecipazione con il principio rigorosamente stabilito dall’art. 11 della legge n. 475/1968, nella versione antecedente alla legge di riordino del 1991, sulla gestione diretta e personale dell’esercizio e dei beni patrimoniali della farmacia da parte del titolare; e che ancora oggi costituiscono il fondamento del persistente “successo”di questo modello contrattuale, nonostante la possibilità di costituire società professionali tra farmacisti.

Nell’associazione in partecipazione, infatti, proprio perché non è una società, possono essere coinvolti anche soggetti non farmacisti disponibili a finanziare l’azienda a fronte di una parte degli utili. Inoltre, il ruolo di associato non determina alcuna incompatibilità, né vi sono limiti alla partecipazione del medesimo soggetto in più farmacie.

La definizione dei principi di tale istituto contrattuale nel codice civile in soli sei articoli (art. 2549 – art. 2554 cod. civ.) appare chiara ed essenziale e quindi bene si presta al più idoneo adattamento rispetto alle concrete esigenze delle parti, restando per l’appunto affidata all’associante (art. 2551, comma 1, cod. civ.) “la gestione dell’impresa o dell’affare”, mentre in base a quanto stabilito dalle parti “il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione è stata contratta”(art. 2551, comma 2).

La società tra farmacisti

Diversamente da quanto accade nell’impresa familiare e nell’associazione in partecipazione, la costituzione di una società tra farmacisti ai sensi degli artt. 7 e 8 della L. n. 362/1991, come modificati dall’art. 5 del D. L. n. 223/2006 (cd.“decreto Bersani), convertito in legge dalla L. n. 248/2006, determina invece la nascita di un nuovo soggetto giuridico, al quale è riconosciuta la titolarità di una determinata sede farmaceutica, cioè l’intestazione del provvedimento di concessione amministrativa, che legittima un soggetto privato ad esercitare in esclusiva l’attività di vendita al dettaglio di prodotti medicinali in un determinato ambito territoriale.

La società consente di mettere insieme due o più professionisti nella gestione della medesima farmacia. Essi costituiscono un patrimonio comune; vi aggiungono (talvolta ma non obbligatoriamente) l’apporto della propria prestazione professionale e così esercitano insieme l’attività professionale e d’impresa, organizzando ed avvalendosi dell’azienda farmaceutica per conseguire un profitto, che poi è distribuito in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione.

Lavorando e contrattando con la farmacia, i soggetti terzi (i fornitori, i dipendenti, gli enti del SSN) hanno di fronte il soggetto societario; se quest’ultimo non riesce a far fronte alle obbligazioni assunte, la responsabilità per i debiti si estende personalmente a ciascuno dei soci, che può essere chiamato a risponderne dinanzi ai terzi in via illimitata, salvo poi eventuale rivalsa pro quota nei confronti degli altri.

In ciò consiste la più rilevante differenza tra società in nome collettivo (S.N.C.) e società in accomandita semplice (S.A.S.) entrambe società commerciali alle quali la normativa speciale consente la titolarità di farmacie: nell’ipotesi di incapienza del patrimonio sociale, tutti i partecipanti alla s. n. c. rispondono illimitatamente ed in via solidale nei confronti dei terzi creditori sociali; i partecipanti alla s. a. s. invece si distinguono tra soci accomandanti, che conferiscono in società un capitale, non possono compiere atti di gestione e amministrazione e rispondono verso i terzi nel limite del capitale conferito, e soci accomandatari, che gestiscono ed amministrano la farmacia e che sono illimitatamente responsabili verso i terzi creditori.

Allo scioglimento della società o al recesso del singolo socio, inoltre, la quota di partecipazione – intesa sotto questo profilo come “porzione ideale” di proprietà dell’azienda – viene poi liquidata sulla base del valore patrimoniale accertato della farmacia, ivi compreso l’avviamento commerciale. L’art. 7 della legge n. 362/1991, nella versione oggi vigente (conforme al diritto comunitario secondo la sentenza della Corte di Giustizia UE resa il 19-5-2009), riserva la titolarità della farmacia solo alle persone fisiche farmacisti idonei ed alle società di persone costituite da farmacisti idonei, escludendo invece le società di capitali con l’unica eccezione della società cooperativa a responsabilità limitata.

Ciò premesso, rammento in sintesi i principi generali della disciplina:

  • ogni società di farmacisti può essere titolare di fino a quattro farmacie, a condizione che siano tutte ubicate nella provincia dove la società ha sede legale e purché ciascuna sia affidata alla direzione responsabile di uno dei soci, così essendo venuto meno il precedente divieto alla titolarità di più di una farmacia;
  • un farmacista idoneo alla titolarità può divenire socio di più società tra farmacisti, essendo stata abrogata la vecchia regola della unicità della partecipazione sociale;
  • la partecipazione ad una società di farmacisti è incompatibile con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, intermediazione ed informazione scientifica del farmaco; con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia; con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato.

Le norme sulle incompatibilità poste a carico del socio in forza dell’art. 8 della L. n. 362/1991, che non è stato modificato dal cd.“decreto Bersani”se non per ammettere l’attività di distribuzione all’ingrosso, continuano a determinare notevoli difficoltà applicative, ma ciò riduce solo in parte il successo in farmacia dell’istituto societario, a favore del quale continua a giocare comunque una notevole flessibilità di utilizzo e l’adattabilità alle specifiche esigenze delle parti.


Quintino Lombardo

Quintino Lombardo ha conseguito la laurea in Giurisprudenza cum laude presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel 1992, quale alunno borsista del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” della Federazione Nazionale dei Cavalieri del lavoro. È avvocato dal 1995 e da subito ha indirizzato la propria attività professionale nell’ambito del diritto delle farmacie, della sanità pubblica e privata, dei prodotti farmaceutici e parafarmaceutici. Nel 2003 è entrato in Cavallaro, Duchi, Lombardo, Cosmo – Studio Legale in Milano e Roma. Nel 2020, con l’avv. Paolo Franco e l’avv. Silvia Stefania Cosmo, ha fondato HWP Health Wealth Pharma – Franco Lombardo Cosmo - Studio Legale in Milano e Roma. È autore di numerosi interventi sulla stampa specializzata del settore farmaceutico. Ha pubblicato “La nuova farmacia del Decreto Monti – Guida alla riforma del servizio farmaceutico” (Tecniche Nuove, 2012), “Il passaggio della farmacia - Di padre in figlio e non solo” (Puntoeffe editore, 2010). Collabora stabilmente con la rivista iFARMA (iFARMA Editore – Gruppo Proedi, Milano).
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