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Tempi sempre più stretti per il trasferimento della farmacia da parte degli eredi

Claudio Duchi
Claudio Duchi
Tempi sempre più stretti per il trasferimento della farmacia da parte degli eredi


Tra le disposizioni del D.L. “Cresci-Italia” in corso di conversione che più mi hanno sorpreso vi è quella che riduce da due anni a sei mesi il termine entro il quale gli eredi del titolare defunto possono trasferire la farmacia o la quota di società titolare di farmacia oppure intestarsela se sono nella condizione di legge per farlo.

Questa riduzione temporale mi ha stupito perché è difficile coglierne il senso e le cose non cambierebbero se, in sede di conversione del D.L., il termine di sei mesi fosse allungato, perché comunque non potrebbe ignorarsi l’attenzione del legislatore ad un aspetto molto delicato come quello di consentire agli eredi del titolare defunto di mantenere la farmacia nell’ambito familiare o di trasferirla con l’agio necessario ad evitare di essere vittime di speculazioni.

L’aspetto sorprendente è costituito dal fatto che, evidentemente, si ritiene il diritto degli eredi del titolare defunto di trasferire la farmacia un privilegio che va contenuto, quasi si trattasse di un retaggio corporativo al quale attribuire una valenza negativa.

In realtà è difficile essere d’accordo, se si riflette che la farmacia, come del resto qualunque azienda, è l’oggetto degli investimenti economici e lavorativi di chi ne è titolare e rappresenta un capitale che legittimamente ciascuno vuole mantenere nel patrimonio familiare o far fruttare per il patrimonio familiare.

Se il titolare investe nella farmacia per il suo acquisto, per il suo ampliamento e, in una parola, per la sua competitività, come va di moda dire oggi, è evidente che lo fa se ha la prospettiva di un risultato che non sia effimero e che dia frutti per i suoi eredi: dove sia l’aspetto negativo di ciò, anche in termini di mercato, non mi è dato proprio di vedere.

Anzi: la tensione all’accrescimento che dovrebbe rappresentare il combustibile per l’economia ed il mercato non può nascere che dalla prospettiva del titolare della farmacia che la sua azienda non finisca con lui perché, se così fosse, non si vede quale incentivazione a rendere l’azienda migliore vi sarebbe.

Sono considerazioni assai banali, s’intende, ma chi negli ultimi tempi abbia seguito sventuratamente qualche talk show si sarà reso conto che l’argomento viene trattato come un privilegio del titolare di farmacia da limitare.

Senonché si tratta di una limitazione pesante; è ben vero che il nuovo termine non riguarda le successioni apertesi prima dell’entrata in vigore del D.L. 24.01.2012 n. 1, così come la riduzione a due anni dei maggiori termini garantiti agli eredi del titolare defunto dal testo originario dell’art. 7 della L. n. 362/1991 non riguardava, secondo quanto ha stabilito la giurisprudenza, le successioni già aperte.

Tuttavia, per le successioni che si dovessero aprire d’ora in poi il termine di sei mesi (ma anche quello di un anno se per avventura venisse allungato) è davvero troppo ristretto, a meno che vi sia un erede “pronto”, sia il coniuge o un figlio o un nipote o chiunque altro farmacista idoneo già designato alla successione.

Quando, invece, non si configura questa situazione, il rischio è di essere costretti a svendere la farmacia o comunque, senza arrivare a tanto, a subire la pressione speculativa di chi sa che il proprio interlocutore ha il tempo contato.

Rimedi radicali per evitare questi rischi non ve ne sono; tuttavia è consigliabile a chi abbia individuato una persona con cui ha un sincero rapporto fiduciario di coinvolgerla in una società che si intesti la farmacia, sia pure con il mantenimento del controllo pressoché assoluto, come è possibile, in modo che il destino dell’azienda, qualunque cosa capiti, segua un percorso già stabilito anche per consentirne, magari in un secondo tempo, il recupero all’ambito familiare.

Questo risultato si otterrebbe attraverso patti parasociali che vincolino il socio superstite, il quale riunirebbe in capo a sé le quote del socio defunto, a gestire anche nell’interesse degli eredi di quest’ultimo e a ritrasferire loro tutto o parte dell’esercizio quando fossero nella condizione soggettiva di intestarselo.

Questi patti sono sempre assai delicati perché non possono prescindere da un decisivo aspetto fiduciario e, come è noto, la fiducia fluttua, perché le situazioni cambiano e anche le persone nel tempo non sono più le stesse.

Tuttavia, la società con una persona di fiducia potrebbe costituire un utile paracadute, idoneo a evitare di soggiacere alle manovre speculative di chi volesse approfittare di una situazione di difficoltà.


Claudio Duchi

Nato a Cremona nel 1946, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia nel 1969. È avvocato dal 1975 (albo degli avvocati di Pavia) ed ha esercitato l’attività forense occupandosi principalmente di diritto sanitario e delle farmacie, anche quale redattore di riviste giuridiche specializzate. È autore di alcune monografie e di numerosi contributi, tra cui “Titolarità e gestione della farmacia privata” (Utet Periodici Scientifici, 1990), “Il riordino del settore farmaceutico” (Pirola Editore, 1991, con Francesco Cavallaro) e, da ultimo, “I reati del farmacista” (Editoriale Giornalidea, 2000). Relatore in numerosi convegni e corsi ECM destinati al settore farmaceutico, collabora stabilmente con la rivista Farmamese.
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