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Una farmacia, un concessionario

Quintino Lombardo
Quintino Lombardo
Una farmacia, un concessionario


Il Consiglio di Stato sulle farmacie comunali

Merita di essere segnalata all’attenzione dei lettori una recentissima decisione del Consiglio di Stato (sezione V, sentenza n. 7336 del 6 ottobre 2010), a conferma di una precedente sentenza del TAR Campania – sede di Napoli (sezione V, sentenza n. 9587 del 28 dicembre 2009), con la quale è stata sancita l’illegittimità di un bando di gara recante ad oggetto l’affidamento a privati della gestione unica e pluriennale (20 anni) di due farmacie comunali di nuova istituzione.

Era stata contestata in giudizio la scelta del Comune di affidare al medesimo soggetto, da individuarsi quale concessionario all’esito della gara pubblica, l’esercizio di entrambe le farmacie che l’Ente locale aveva prelazionato: una questione che, ad una prima e solo superficiale analisi, poteva sembrare superata dalla forza dei fatti e dall’orientamento giurisprudenziale consolidatosi negli anni scorsi.

È noto infatti che nell’ultimo quindicennio le farmacie comunali sono state “privatizzate” per lo più con affidamento della loro gestione ad un unico soggetto concessionario, o per meglio dire con la cessione ai privati delle quote della società di gestione quale unica concessionaria del servizio pubblico; e che la giurisprudenza ha fin qui sancito la legittimità di tale scelta, mantenendo distinta la titolarità delle farmacie comunali (che resta sempre in capo all’Ente locale) dalla gestione degli esercizi farmaceutici (che può essere affidata ai privati secondo i moduli di legge) ed insomma ritenendo che il divieto legale di assegnare la titolarità di più farmacie ad unico soggetto privato non riguardasse invece la gestione di più esercizi farmaceutici in titolarità del medesimo Ente Locale.

A nulla fino ad oggi sono valse le forti critiche espresse in proposito dalle associazioni dei farmacisti, che hanno sempre evidenziato il pericolo di una grave alterazione dell’economia del settore, lamentando l’illegittima creazione di “catene” di farmacie, “pubbliche” solo nel titolo ma sostanzialmente a gestione privata e capitalista, mentre l’organizzazione delle farmacie territoriali è fondata sul criterio della riserva della proprietà e dell’esercizio professionale ai soli farmacisti, con espresso divieto per titolarità e gestione in capo alle società di capitali.

Le decisioni che qui si commentano contengono forse i segni – anche se è presto per dirlo – di una possibile nuova considerazione del problema.

Riconsiderare il problema

L’art. 112, commi 2 e 3, del Testo Unico delle Leggi Sanitarie recita testualmente: ”È vietato il cumulo di due o più autorizzazioni in una sola persona. Chi sia già autorizzato all’esercizio di una farmacia può concorrere all’esercizio di un’altra; ma decade di diritto dalla prima autorizzazione, quando, ottenuta la seconda, non vi rinunzi con dichiarazione notificata al prefetto entro dieci giorni dalla partecipazione del risultato del concorso”.

Secondo il TAR di Napoli, nella ricostruzione esegetica condivisa dal Consiglio di Stato, la suddetta

“… disposizione è informata al principio della cosiddetta “alternatività”, volto a scongiurare la possibilità che un soggetto possa divenire, contemporaneamente, titolare di più esercizi farmaceutici, principio al quale si dà attuazione mediante l’imposizione della scelta tra la conservazione della sede per la quale è già autorizzato e l’opzione per quella conseguita all’esito del concorso (omissis) … nell’ottica della ricerca di un equilibrio tra il diritto del farmacista di migliorare la propria situazione professionale e l’esigenza di un’equa distribuzione delle sedi, al fine di garantire che il maggior numero possibile di farmacisti possa accedere alla titolarità degli esercizi farmaceutici …”.

Ebbene, sia il TAR che il Consiglio di Stato hanno ritenuto che la disciplina delineata dall’art. 112 TULLSS debba essere inserita nell’ambito generale del regime delle incompatibilità gravanti sul titolare di farmacia, come ampliato dalla Corte Costituzionale con la sentenza (additiva) n. 275 del 2003.

Precisa infatti il Collegio

“che in questa sede rileva il regime d’incompatibilità previsto dal citato art. 112, il quale esprime un principio di carattere generale in tema di gestione di farmacie private e non comunali, inteso ad evitare conflitti di interes- se nonché a garantire il corretto svolgimento del servizio farmaceutico, di rilievo fondamentale per la tutela del diritto alla salute (oggi sancito dall’art. 32 della Costituzione), la cui validità ed osservanza risulta egualmente necessaria anche con riferimento alle società ed ai soci delle farmacie comunali,  in coerente applicazione dei criteri enunciati dalla Corte Costituzionale con la precitata sentenza n. 275 del 2003 …”;

e che

“la ratio sottesa all’art. 112 R. D. n. 1265 del 1934 è, infatti, a maggior ragione valida nell’attuale contesto storico economico, in cui gli interessi afferenti alla commercializzazione ed alla distribuzione dei farmaci hanno assunto dimensioni molto più ampie rispetto a quelle ipotizzate dal Legislatore del 1934; in applicazione dei principi rivenienti dagli artt. 3 e 32 della Costituzione, nonché di quelli sanciti dalla Corte Costituzionale con la menzionata sentenza n. 275/2003, s’impone, pertanto, un’interpretazione dell’art. 112 di natura evolutivo sostanziale e costituzionalmente orientata, intesa a superare il limite meramente formalistico della norma assai risalente nel tempo”.

In altre parole, come le norme sulle incompatibilità di cui all’art. 8 della legge n. 362/1991, in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 275/2003, devono trovare applicazione sia al titolare di farmacia, sia al socio di società di farmacisti, sia al socio di società di gestione delle farmacie comunali; così il cd. principio di “alternatività” recato dall’art. 112 TULLSS dovrebbe trovare applicazione non solo alla titolarità delle farmacie ma anche all’affidamento della gestione delle farmacie comunali. Osserva in conclusione il Collegio che “risulterebbe, invero, del tutto irragionevole un’interpretazione della norma in esame ancorata al mero dato formale, e, quindi, nel senso di escludere la figura del socio di società di gestione delle farmacie comunali dall’applicabilità del cosiddetto “divieto di cumulo” di più esercizi farmaceutici”.

In conclusione, fin d’ora ben si intuisce come dall’affermazione giurisprudenziale (sebbene non ancora consolidata) dei suddetti principi scaturisca una notevole difficoltà – quantomeno concettuale – per l’affidamento al medesimo concessionario, ovvero alla medesima società partecipata da pri- vati, della gestione di più esercizi farmaceutici in titolarità comunale.

Di tutto ciò occorrerà ancora discutere, ma è certo paradossale che a tale conclusione si sia arrivati quando da tempo le “catene” di farmacie comunali privatizzate appartengono alla realtà.

Articolo pubblicato per gentile concessione di “Tema Farmacia” (Dicembre 2010)


Quintino Lombardo

Quintino Lombardo ha conseguito la laurea in Giurisprudenza cum laude presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel 1992, quale alunno borsista del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” della Federazione Nazionale dei Cavalieri del lavoro. È avvocato dal 1995 e da subito ha indirizzato la propria attività professionale nell’ambito del diritto delle farmacie, della sanità pubblica e privata, dei prodotti farmaceutici e parafarmaceutici. Nel 2003 è entrato in Cavallaro, Duchi, Lombardo, Cosmo – Studio Legale in Milano e Roma. Nel 2020, con l’avv. Paolo Franco e l’avv. Silvia Stefania Cosmo, ha fondato HWP Health Wealth Pharma – Franco Lombardo Cosmo - Studio Legale in Milano e Roma. È autore di numerosi interventi sulla stampa specializzata del settore farmaceutico. Ha pubblicato “La nuova farmacia del Decreto Monti – Guida alla riforma del servizio farmaceutico” (Tecniche Nuove, 2012), “Il passaggio della farmacia - Di padre in figlio e non solo” (Puntoeffe editore, 2010). Collabora stabilmente con la rivista iFARMA (iFARMA Editore – Gruppo Proedi, Milano).
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