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Il Consiglio di Stato come Giano Bifronte: l’Avviso di Avvio del Procedimento Sanzionatorio è un adempimento prescindibile?

Francesco Cavallaro
Francesco Cavallaro
Il Consiglio di Stato come Giano Bifronte: l’Avviso di Avvio del Procedimento Sanzionatorio è un adempimento prescindibile?


Il diritto, come si sa, non è una scienza esatta, e non è quindi inconsueto che su uno stesso tema si registrino opinioni contrastanti. Stupisce tuttavia che su un argomento tutto sommato banale – se sia legittima una sanzione amministrativa irrogata senza la preventiva contestazione dell’addebito, cioè senza contraddittorio – la stessa Sezione del Consiglio di Stato, con il medesimo Presidente, si sia orientata, mediante due sentenze depositate a quattro giorni di distanza, in senso diametralmente opposto.

La vicenda è semplicissima

Nel 2007 alcune farmacie di Milano sono state sanzionate dalla Asl con la chiusura per 15 giorni per violazione dell’art. 15 del D.L.vo 178/91, che puniva la vendita di specialità medicinali sprovviste di AIC, o con AIC non confermata, sospesa o revocata, disponendo che l’autorità “può ordinare la chiusura, per un periodo di tempo da 15 a 30 giorni della farmacia …”.

A seguito dei ricorsi degli interessati il TAR Lombardia annullava nel 2008 i provvedimenti sanzionatori accogliendo alcune delle ragioni avanzate dai titolari di farmacia, e – tra queste – la violazione dell’art. 7 della legge 241/90, che impone alle amministrazioni pubbliche di comunicare l’avvio dei procedimenti che li riguardano, in modo da consentire loro, quando si tratta di procedimenti sanzionatori, di esporre le loro difese.

Due di tali sentenze del TAR Lombardia (Sezione III^, n. 2099 del 20.6.2008 e n. 2901 dell’8.7.2008) sono state impugnate, per motivi diversi, tanto dai titolari di farmacia quanto dalla Asl, con esiti che, almeno per quanto riguarda l’obbligo di preventiva contestazione (o di avvio del procedimento: in pratica è la stessa cosa) appaiono sorprendenti, trattandosi di questioni identiche.

7 Luglio 2014, sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III^, n. 3441

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III^, n. 3441 del 7.7.2014 (Cirillo Presidente, Nocelli Estensore) conferma la soluzione accolta dal Tar, sottolineando che:

“15. Quanto alla violazione delle norme procedimentali e, in particolare, alla mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, ritenuta dal TAR Lombardo, evidente infatti appare l’infondatezza dell’appello incidentale con il quale la Asl sostiene, sul punto, che l’atto finale, anche senza tale comunicazione, sarebbe rimasto lo stesso ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 – octies, comma 3, della l. 241/1990.

15.1 (…) davvero non si comprende come tale tesi sia sostenibile, atteso che nemmeno dalla lettura dell’atto finale è possibile evincere le ragioni per le quali l’Amministrazione, al di là del mero richiamo alla normativa applicabile, abbia deciso di irrogare la sanzione, con un provvedimento che ha natura incontestabilmente discrezionale, non vincolata, e che ben avrebbe dovuto esprimere, sentire anche le ragioni della Farmacia e acquisito il suo apporto procedimentale, le ragioni della sanzione.

15.2. L’apporto procedimentale dell’incolpato, a fronte dell’assenza e, comunque, dell’oscurità di tali ragioni, sarebbe stato tanto infatti più necessario di fronte all’avvio di un procedimento sanzionatorio, come quello di cui si discute, all’esito del quale l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 15, comma 3, dell’ora abrogato d. lgs. 178/1991, “può ordinare la chiusura, per un periodo di tempo da quindici a trenta giorni, della farmacia presso la quale i farmaci siano stati posti in vendita o detenuti per la vendita”, emettendo, quindi, un provvedimento discrezionale e decidendo eventualmente, se del caso, anche di non irrogare la sanzione soprattutto di fronte ad un fatto, come quello di cui si controverte, assai modesto, che certo non imponeva una meccanica e immotivata irrogazione della sanzione, senza alcuna preventiva interlocuzione del privato.

15.3 L’orientamento di questo Consiglio, del resto, afferma con costanza che anche il procedimento sanzionatorio soggiace alla generale regola prevista dall’art. 7 della L. 241/1990, a garanzia del destinatario degli effetti, non presentando di per sé il procedimento sanzionatorio caratteristiche d’urgenza tali da compromettere in via di principio, con la comunicazione dell’avvio, l’interesse pubblico perseguito”.

4 giorni dopo, sentenza sempre della Sezione III^, n. 3590

Diversissima, malgrado l’identità delle due vicende, è stata invece la soluzione accolta della sentenza della stessa III^ Sezione n. 3590 dell’11.7.2014 (Cirillo Presidente, Puliatti Estensore), secondo la quale

“L’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990, che ha introdotto un’eccezione alla invalidità comminata dall’art. 7, relativamente ai provvedimenti non preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, prevede, tuttavia, che anche il provvedimento amministrativo che non abbia natura vincolata non è, comunque, annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento “qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

La norma pone in capo all’Amministrazione l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso.

Ebbene, il Collegio ritiene che tale prova emerge dall’inconsistenza stessa delle censure di merito articolate in giudizio.

Come emerge dalle argomentazioni sopra svolte, e come riconosce lo stesso giudice di primo grado, non vi è dubbio che la fattispecie concreta fosse inquadrabile nelle previsioni dell’art. 15, comma 3, e che la sanzione sia stata applicata nella misura minima.

Nessun elemento significativo emerge, neppure dalle difese svolte in giudizio dall’appellante, che possa escludere la responsabilità del ricorrente per il comportamento tenuto (ad es. per motivi di caso fortuito o forza maggiore, che facciano ritenere estraneo il fatto all’autore) e, come si è visto, non ha rilevanza nella previsione normativa la causa per cui sia stata revocata o sospesa l’AIC, né la pericolosità o meno del farmaco per la salute pubblica, elemento che non incide sul divieto di vendita, operante dal momento della pubblicazione in G.U.R.I. delle determinazioni A.I.F.A.

Inoltre, nella sostanza, il ricorrente era a conoscenza della contestazione delle ricette che gli erano state restituite, e sebbene il procedimento sanzionatorio sia autonomo e diverso rispetto a quello relativo al rimborso del prezzo dei farmaci, non può disconoscersi che il ricorrente avesse conoscenza delle anomalie verificatesi nella vendita dei farmaci e della astratta possibilità di sanzione del comportamento.

Secondo consolidata giurisprudenza, quando l’apporto partecipativo sia stato, comunque, reso possibile, con materiale soddisfacimento della finalità perseguite dall’art. 7 della legge n. 241/1990, deve in effetti ritenersi emesso un atto, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso, ai sensi e per gli effetti del citato art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, anche ove mancasse la prova di un atto formale di comunicazione, da parte dell’Amministrazione procedente”.

Si tratta, come è evidente, di posizioni inconciliabili

La prima decisione, attraverso un approccio garantista, si limita a far applicazione di una disposizione che riflette un principio consolidato – quello della esigenza di un preventivo contraddittorio – che ha trovato conferma anche in sede europea (l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali garantisce tra l’altro “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”).

La seconda decisione fa invece leva su una disposizione che effettivamente deroga al principio predetto, e che proprio per questo dovrebbe venir interpretata restrittivamente, il che nel caso specifico non sembra essere avvenuto.

Quale che sia la soluzione preferibile, è certo che sarebbe stato opportuno un approfondimento collegiale della questione ed una sua definizione univoca, idonea a costituire – nell’interesse generale – un solido riferimento per il futuro.


Francesco Cavallaro

Nato a Roma nel 1943, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel 1965. È avvocato dal 1969 (albo degli avvocati di Milano) e svolge l’attività professionale occupandosi principalmente degli aspetti giuridici della produzione e della distribuzione dei medicinali. Dal 1970 al 1980 ha curato la redazione di una rivista giuridica specializzata nel settore. Insieme con l’avv. Claudio Duchi ha pubblicato due raccolte di leggi in materia farmaceutica e, sempre con l’avv. Claudio Duchi, il commentario “Il riordino del settore farmaceutico”(Pirola, 1991). Ha partecipato a iniziative di formazione per laureati presso le Università di Milano e di Palermo.
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